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LABORATORI TERAPEUTICI RESIDENZIALI "CASA MIA"

Lo scopo dei laboratori, effettuati in luoghi di vacanza e svago, è di attuare percorsi terapeutici individualizzati all'interno di una dimensione comunitaria e quotidiana. 

La filosofia alla base del progetto è quella di utilizzare tecniche terapeutiche ortodosse in luoghi diversi dallo studio o dall'ospedale, senza con questo modificare i presupposti epistemologici e metodologici su cui si basa il fare terapia. In altre parole, ciò che viene attuato non è una mera attività ludica né una terapia alternativa a quelle tradizionali, ma si tratta di applicare delle tecniche standard di tipo riabilitativo e terapeutico utilizzando degli strumenti e dei luoghi il meno “medicalizzati” possibile, rispetto ad uno studio o ad un classico ambulatorio. 

In questo senso il luogo e le sue opzioni sono strumenti che di per sé non attuano alcun miglioramento, se non utilizzati in una situazione terapeutica; come un ambulatorio e gli strumenti che vi si usano non sarebbe altro che mobilia e strumentazione se non vi fosse anche un terapeuta che ci lavora.

 

In linea con questo vengono seguite le varie fasi di strutturazione di qualsiasi altro intervento terapeutico, che vanno dalla valutazione generale del caso con conseguente diagnosi, alla valutazione per la specifica attività, fino al trattamento vero e proprio (colloqui, giochi di ruolo, terapia di gruppo, terapia psicomotoria relazionale etc.).

In particolare, il contesto divertente e motivante dei laboratori, caratterizzato dalla dimensione di gruppo, consente di attuare una “clinica del quotidiano” in cui ogni momento della giornata, vissuto da pazienti e terapeuti, diventi occasione di crescita e cambiamento. Ciò significa che nel luogo ludico si deve trasferire anche il terapeuta, il quale non ha più un ruolo lontano dall’azione, ma si porta a condividere l’esperienza della persona nel momento stesso in cui essa la attua.

L’intervento, quindi, si attua necessariamente costruendo e vivendo l’esperienza direttamente assieme al soggetto. Il terapeuta non è più in un luogo lontano dagli avvenimenti dal quale indica cosa la persona deve fare o analizza ciò che è stato fatto; o, nelle forme più psicologiche, la aiuta a scegliere per poi, in ogni caso, mandarla a vivere questa esperienza per conto proprio. In questo caso bisogna invece creare un setting generale, adattarlo alla persona specifica, e lì, assieme a lei, vivere l’esperienza divenendone uno degli attori.

Questo permette di poter valutare, analizzare ed elaborare con gli utenti molte più variabili (indipendenti, dipendenti ed intervenienti) che di solito possono essere esaminate solo attraverso il racconto di altri e senza poterne fare una narrazione comune all’interno di un vissuto comune.

Il laboratorio è così strutturato in modo da creare un ambiente terapeutico in una collocazione di tipo familiare, in cui sia possibile sperimentarsi rispetto ad un percorso di autonomia, intesa come capacità di gestire i propri bisogni (definirli, vedere le persone e strategie per soddisfarlo, iniziare azioni specifiche), oltre che come acquisizione o miglioramento delle capacità di gestire se stessi all’interno della vita quotidiana e della vita di gruppo.

A questo livello, il lavoro terapeutico e riabilitativo chiama tutti, terapeuti e non, ad implicarsi nel legame. D'altra parte i diversi momenti in cui si articola la vita durante i laboratori - i momenti del quotidiano, i gruppi o altre attività esterne, ecc. - sono tutti luoghi ugualmente importanti, pur nella specificità di ciascuno di essi, in quanto costituiscono altrettanti momenti in cui la persona può confrontarsi con il mondo sociale. 

Diventa allora fondamentale il lavoro che si svolge fra gli operatori e il modo con cui è costruita la struttura organizzativa.

Lo scopo più immediato della vita comunitaria è la partecipazione di tutti i suoi membri alla vita quotidiana, mentre più a lungo termine ci si propone di offrire alla persona con disagio psichico un luogo di vita in cui possa ri-articolare, nella dialettica che vige tra regolamentazione istituzionale e iniziativa soggettiva, qualcosa del suo rapporto disturbato con gli altri che caratterizzano la sua vita quotidiana.

Il focus è lasciare che la persona sperimenti la propria soggettività nel contesto di vita relazionale del laboratorio per creare essa stessa il suo modo particolare di ricostruire un rapporto maggiormente sostenibile con l’altro, in modo che possa viverlo anche al di fuori della situazione terapeutica dei soggiorni. 

 

OBIETTIVI DEL PROGETTO

In generale il progetto si propone di avviare percorsi terapeutici individualizzati, che vadano dalla diagnosi operativa e funzionale (anche attraverso la somministrazione di materiale testistico ecc.), alla definizione di una strategia di intervento che possa essere generalizzabile a tutti i contesti di vita della persona. All'individuazione di obiettivi che inizieranno ad essere perseguiti durante il laboratorio. Alle indicazioni terapeutiche che verranno date ai referenti (familiari o altre figure) alla fine del laboratorio, così da rendere partecipi anche queste figure del percorso terapeutico avviato, affinché possa essere portato avanti anche dopo la fine dell'esperienza. 

 

Alla conclusione dei laboratori (di durata variabile da una a più settimane a seconda delle possibilità e delle richieste), l'èquipe di lavoro (costituita da psicologi, psicoterapeuti ed educatori) stila una relazione finale e rimane a disposizione per ulteriori indicazioni, chiarimenti e per un'eventuale presa in carico della situazione. 

Operativamente, durante il laboratorio terapeutico residenziale, sotto la supervisione ed il coordinamento dei terapeuti, che sono parte integrante del gruppo, i partecipanti vengono stimolati ad agire in una logica di “autorealizzazione”, intesa come scoperta e riscoperta delle proprie potenzialità, individuazione dei propri limiti e dunque riconoscimento dei propri bisogni nella quotidianità. Essi saranno quindi supportati nel trovare delle soluzioni per “soddisfare” tali bisogni, per poi metterle in atto avendo compreso gli scopi del proprio fare.

 

Ciò avviene passando attraverso il confronto, la comprensione dei punti di vista altrui, la creazione di relazioni differenziate all'interno del gruppo, che permettano di sperimentarsi in ruoli diversi.

In tal modo si mira a creare le condizioni che consentano a ciascun partecipante di sviluppare al meglio le proprie potenzialità, attraverso un percorso fatto di tappe differenziate, che conduca gradualmente all'autonomia rispetto all'aiuto terapeutico e riabilitativo.

Per ognuno è prevista anche la possibilità di colloqui individuali con i terapeuti e colloqui di gruppo.

L’obiettivo generale verso cui si tende è creare per ciascuna persona una condizione di “stabilità psichica” nelle sue relazioni. 

In maniera differente a seconda del tipo e delle forme di difficoltà che i soggetti presentano, occorre tenere, innanzi tutto, conto dell'equilibrio che essi presentano al momento del loro ingresso nella dinamica, equilibrio che può implicare gravi sofferenze o un ritiro dal mondo e dalla relazione con l'altro. Partendo proprio dalle modalità particolari con cui ogni soggetto si presenta, dalle difficoltà che manifesta, dalla soluzione singolare che sta sperimentando o che ha trovato, dalle potenzialità che si possono supporre, il lavoro ha la finalità di costruire un nuovo equilibrio che sia meno costoso in termini di sofferenza, che consenta al massimo un'autonomia, che sia più funzionale nel rapporto con l'altro.

 

Dunque il lavoro va nella direzione di aiutare la persona a costruire dei legami perché possa trovare un suo posto e un ruolo nel contesto sociale, tentare la costruzione di legami dove apparentemente non ve ne siano e mirare ad un loro ampliamento quando sia possibile.

In tal senso “costruire legami” rappresenta un mezzo ma anche un fine del lavoro, ossia è un mezzo perché la persona possa sperimentarsi all’interno della relazione con l’altro ma anche l’obiettivo quando ciò avviene.

Un altro aspetto di estrema rilevanza all’interno del lavoro dei laboratori è la riabilitazione, nel senso di acquisizione di strumenti per migliorare le proprie capacità e scoprirne di nuove per avere la qualità di vita migliore possibile.

Ogni attività è quindi parte integrante della quotidianità della persona che affronta ciascuno di questi passaggi in maniera “giocosa” e senza interferire con la vita comunitaria, ma anzi sfruttando la stessa e facendo “passare il più possibile attraverso il gruppo i problemi del singolo”.

Da un lato, infatti, le attività riabilitative devono perseguire, pur nella loro specificità, le finalità proprie al progetto nel suo insieme; d'altro canto si ritiene che nello svolgimento delle attività a carattere riabilitativo i ragazzi stabiliscano dei legami ed esprimano delle potenzialità. 

 

È altrettanto importante il lavoro con le famiglie e con i centri da cui provengono gli utenti. Sia attraverso incontri precedenti alla partenza per raccogliere l'esperienza che essi hanno maturato in modo da apportare il contributo che deriva dalla propria conoscenza della persona, sia mantenendo i contatti durante e dopo l’esperienza perché l’intervento non rimanga qualcosa di decontestualizzato. 

È necessario infatti tener conto non solo delle risorse del ragazzo, ma anche di quelle che la famiglia può trovare o ritrovare. 

 

STRUMENTI UTILIZZATI

Lungo le diverse fasi dell'intervento, vengono usati a seconda delle esigenze vari strumenti clinici tra cui:

•          Schede di osservazione, griglie di repertorio, analisi risorse ecc.

•          Test

•          Colloqui

•          Dinamiche di gruppo (con giochi di ruolo, incontri di gruppo, laboratori etc.)

Il tutto all’interno di un setting terapeutico in cui le attività quotidiane (la cura di sé, la cura della casa, l’organizzazione delle attività giornaliere, lo svago ecc.) assumono una forte valenza terapeutica.

 

DESTINATARI

Per le sue finalità, l’attività è rivolta a persone con difficoltà di tipo psichico, psichiatrico e fisico che siano in possesso dei prerequisiti necessari al raggiungimento di un proprio adeguato inserimento o reinserimento sociale e lavorativo.

Lo schema di lavoro può inoltre essere utilizzato in ambito della formazione (da aziendale a quella del personale socio-sanitario), con disabilità più complesse, con famiglie o, ancora, con situazioni di disagio sociale o altro. 

 

Prima della partenza, in fase i colloqui preliminari, viene effettuata una valutazione di ingresso, anche attraverso test, mirata da un lato a creare uno o più gruppi omogenei, per far sì che i partecipanti possano trarre dallo stare insieme degli effettivi vantaggi, e dall'altro per definire degli obiettivi specifici.

 

SETTING

Ormai da alcuni anni si sceglie di effettuare i laboratori negli stessi luoghi, in particolare in inverno ed a pasqua in un albergo ad Asiago, in estate in villette a Bibione-Lido dei Pini e per brevi periodi dell’anno in vari luoghi del Veneto.

La scelta di mantenere una “costante” rispetto al luogo della terapia viene vagliata ogni anno per assicurarsi che il posto abbia sempre degli standard che riguardano la sicurezza, la comodità e soprattutto la stessa capacità di creare “rete sociale” attorno al gruppo operatori/utenti. Il luogo stesso cioè viene preparato nel suo essere rete informale della dinamica e nel divenire parte stessa della dinamica che si attua. 

Questa scelta che si rinnova ogni anno, trova le sue radici nell’idea che il setting “deve inglobare la città”. In questo senso, si è lavorato nel tempo per costruire ed ampliare la scena, inglobando insieme terapeuti e ragazzi anche gli abitanti del posto, come ad es. il panettiere, il barista o il bagnino che ci conoscono e riconoscono rendendo l’ambiente più familiare ed inserendolo nella quotidianità della persona. 

Questo perché crediamo che “la cura sia sempre una riscoperta del significato dell’abitare” inteso come apertura verso il mondo esterno. Per far questo la persona deve aver modo di familiarizzare con quei luoghi, deve potersene costruire un’immagine e crearsene una rappresentazione psichica che renda possibile un investimento affettivo del posto. È solo a partire da questo presupposto che l’esperienza dei laboratori può funzionare come contenitore e supporto della problematicità della persona che soffre anche in termini di continuità (ossia anche quando la persona non è fisicamente al soggiorno). 

Il setting che si realizza all’interno dei laboratori è quindi essenzialmente legato alla “costruzione della quotidianità”, perché si creino possibilità d’incontro e di pensiero nelle quali riscoprire dimensioni come la curiosità e il piacere. 

Il vivere assieme diventa un laboratorio di vita in cui la persona riprende contatto non solo con gli altri, ma anche con l’Altro in quanto “luogo di regolazione”, per cui le villette, la propria stanza, le regole di vita comune, la presenza dei terapeuti  e del supervisore rappresentano non solo un luogo di ascolto e di elaborazione simbolica, ma anche delle mura reali, una quotidianità condivisa ed un insieme di regole di convivenza fungendo così da “contenitore e bonificatore della distruttività del soggetto ”.

A questo livello l’intervento dei soggiorni si pone come “luogo transizionale”, in senso winnicottiano, inteso sia come luogo di passaggio che rende possibile alla persona di tornare in maniera più o meno integrata nel contesto di vita sociale con una propria progettualità, sia nel senso di area simbolica entro cui poter elaborare un processo di individuazione di sé e di separazione dall’altro materno”.

La complessità del lavoro implica quindi una forte attenzione a come si strutturano anche gli spazi nei quali terapeuti e pazienti condividono il quotidiano.

La suddivisione in gruppi ed il lavoro fra i diversi gruppi e la rete sociale creata attorno è basato sulle teorie dei gruppi, degli interventi di comunità, delle dinamiche fra piccolo gruppo/grande gruppo ecc. Essa segue una strutturazione in cui le persone siano una risorsa l’uno per l’altro e quindi possano essere di aiuto reciproco, proprio in base alle loro caratteristiche personali e potenzialità. La logica è quindi che nessuno è un problema, ma tutti sono una risorsa. Spetta alla professionalità degli operatori far emergere questi aspetti ed incentivare una dinamica di comunità supportante in cui ognuno trovi la propria collocazione e possa avere un ruolo che lo soddisfi in quanto si sente di supporto al gruppo e quindi parte integrante di esso.

 

Esempio di laboratori

 

I LABORATORI RESIDENZIALI TERAPEUTICI ESTIVI

 

Da alcuni anni il luogo prescelto è la località di Bibione. Usiamo alcune ville collocate all’interno di un contesto di altre abitazioni in una posizione centrale a pochi passi dal mare con piscina privata e tutti i servizi. Immersi nel verde ma anche fra famiglie, gruppi di amici, coppie o altro che sono in vacanza attorno a noi. 

Ciò serve a rappresentare come anche i nostri utenti siano in fondo un gruppo di amici che vanno in vacanza integrati .

Le villette da un minimo di 4 a più in funzione a seconda delle richieste e della possibilità di formare gruppi-case, vengono affittate per un periodo di 4/6 settimane.

La logica nella definizione dei gruppi-casa è quella della comunità supportante in cui ognuno ha il proprio ruolo.

I diversi gruppi casa possono così interagire fra di loro oppure no. Incastrarsi in diversi modi e relazionarsi con la rete sociale attorno alle ville in modi diversi.

La divisione dei luoghi permette un’intercambiabilità all’interno delle situazioni, per cui, con un esempio banale, quando una persona vuole maggiore “giocosità” può tranquillamente spostarsi in un’altra villa o proporre, a proprio modo, una nuova attività, in un ambiente sempre accogliente, accettante e comprensivo, come solo i pari desiderosi di stare assieme sanno creare.

Nell’arco della giornata le persone sono libere di muoversi tra le varie case e, nel tempo, abbiano visto come questa situazione favorisce lo spostarsi da una parte all’altra in concomitanza con i movimenti psichici delle persone. 

La predisposizione del luogo di cura così pensata permette una variabilità dell’intervento legata alla trasversalità delle possibili relazioni tra le diverse persone e le diverse situazioni che si possono creare.

Il setting si fa quindi “agevolatore” di processi, nel senso che la facilità di spostamenti tra le case agevola l’idea di poter facilmente “tornare indietro” e questo mette la persona nella condizione di provare a sperimentarsi e sapere di avere, a disposizione, un contenitore per ciò che può accadere; contenitore che rimanda un forte senso di rassicurazione.

La duttilità del setting diventa così possibilità di muoversi all’interno di esso in funzione dei passaggi che la persona si sente pronta ad effettuare sapendo che il suo movimento rimane in qualche modo “protetto” dall’opportunità di fare un passo indietro. Questo tipo di situazione è fortemente “disangosciante” e permette una graduale rimessa in moto delle persone che non si sentono così di dover fare un salto nel vuoto ma piuttosto di poter condividere delle esperienze.

 

Da quanto detto si evince che non c’è una divisione per “patologia” ed in realtà neppure per età cronologica, i gruppi sono “omogenei” per il modo in cui ciascuno si relaziona a se stesso ed al mondo, in funzione di che tipo di situazione necessita in quel particolare momento e delle relazioni che nel tempo si sono venute a creare tra i ragazzi. A questo proposito, è bene sottolineare l’importanza legata alla continuità dell’intervento che permette alle persone non solo di familiarizzare con la scena dove si svolge l’azione ma anche con gli attori che ve ne fanno parte (molti dei ragazzi sono in contatto tra di loro anche al di là dei laboratori e si ripropongono di incontrarsi nuovamente al laboratorio successivo). 

Il lavoro si può così suddividere per gruppi omogenei, vedendolo come una sorta di “laboratorio” entro cui vengono proposte le attività in modi diversi.

Ad esempio, in una casa meno prestazionale le attività domestiche verranno proposte in termini giocosi ed il supporto dato dai terapeuti è senz’altro maggiore di quello dato in una ove vi siano persone che magari già vivono da sole e dove, quindi. la contrattazione iniziale prevede che gli utenti stessi si occupino della loro casa ed i terapeuti abbiano una funzione più di sola supervisione ed analisi dei vissuti.

Non vi sono quindi orari o regole prestabilite. L’unica norma a cui si è chiamati è che ognuno cerca di fare le cose con gli altri. Ma nemmeno questa è rigida e se ne ho bisogno mi posso anche prendere dei momenti per isolarmi e ristrutturarmi: basta che esplicito la mia necessità (aumento cioè la mia consapevolezza cognitiva di ciò) ed essa viene subito compresa, accettata ed anzi vista come un’azione positiva di presa di responsabilità dei propri bisogni.

 

 

Responsabile per il progetto:

Dott. Ruggero Guzzo

Direttore Scientifico del Centro Clinico Stella Polare

Psicologo-Psicoterapeuta

 

Coordinatore

Dott. Damiano Gabriele Taratufolo

Psicologo

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